Mi chiamo Carlo e con mia moglie Marisa e mia figlia Elena, oltre quindici anni, fa abbiamo iniziato a pensare di adottare a distanza un bambino.
La nostra esperienza genitoriale era stata un po’ travagliata: abbiamo perso il primo figlio al nono mese di gravidanza ma, nonostante questo, mia moglie con la forza che solo le donne possono avere ha deciso di riprovarci ed è nata Elena, non con poche preoccupazioni visto il precedente. Dopo, sia a causa dell’età che iniziava a non essere più opportuna sia per ciò che avevamo passato, non abbiamo più pensato di riprovare ma ha iniziato a farsi strada in noi l’idea dell’adozione a distanza.
Adottare è sempre stato difficoltoso, oltre al fatto che eravamo completamente all’oscuro di quali potessero essere le procedure o le organizzazioni a cui rivolgersi per questa operazione. Mia moglie allora pensò di rivolgersi al parroco di Sasso Marconi del tempo, Don Dario, che subito ci aprì una strada: un suo amico prete ugandese, Padre John Bashobora, che spesso veniva a trovarlo in parrocchia, si occupava dell’educazione di bambini poveri dell’Uganda. Già allora ne seguiva parecchie migliaia, soprattutto orfani della guerra da cui la Nazione stava uscendo.
A distanza di pochi giorni, in occasione di una delle visite pasquali di Padre John Bashobora, Don Dario ce lo presentò e iniziammo a parlare concretamente di adozione. Padre John fu subito estremamente chiaro: non si trattava di adottare nel senso comune del termine un bambino, quindi di farlo venire in Italia, ma di collaborare tramite una donazione annuale all’educazione e allo studio di uno di loro. Infatti, Padre John ci teneva che i bambini crescessero, si istruissero e continuassero la loro vita in Uganda, anche perché questi bambini e ragazzi erano molto uniti tra di loro per ciò che avevano passato e c’era il forte rischio che, mandandoli in paesi più “evoluti”, in caso di ritorno per una adozione non andata a buon fine, questi avrebbero raccontato ai loro ex compagni situazioni di vita che avrebbero potuto destabilizzare le menti di quelli che erano rimasti in Uganda.
Il nostro interesse aumentò per cui Padre John ci propose di aiutare una bambina di cinque anni: Faith. Questa bimba non era completamente sola ma aveva perso i genitori durante la guerra e a causa dell’AIDS, tremenda malattia che imperversava in quelle zone; viveva con la zia e con la nonna, insieme a sua sorella maggiore, a sua volta adottata da un’altra famiglia che, pur accudendola con amore, non aveva le possibilità economiche per farla studiare.
L’adozione di Faith prevedeva un aiuto annuale in modo che Faith fosse protetta e potesse studiare ma non solo: nei momenti in cui la nonna di Faith fosse riuscita a mantenerla, la nostra donazione sarebbe stata utilizzata per aiutare gli altri bambini che non avevano più nulla e che dipendevano totalmente dall’aiuto di Padre John.
Noi ci dimostrammo pronti e gioiosi di poter essere utili non solo a Faith ma anche agli altri bambini meno fortunati. E così iniziò la nostra storia con Faith.
Di lei avevamo solo una foto, allora di cinque anni, e la promessa da parte di Padre John di tenerci informati sui suoi progressi. Molti miei conoscenti allora non condivisero e non compresero questa nostra decisione, preferendo criticare senza però approfondire le ragioni che ci avevo spinti ad intraprendere questa avventura; altri ci dicevano che gettavamo denaro all’aria senza nessuna sicurezza di risultato. Nonostante queste critiche, non cambiò assolutamente il nostro entusiasmo e la nostra voglia di intraprendere questo viaggio.
Devo dire che nei primi anni contò più la fede che i dati tangibili. Vedevamo Padre John due volte l’anno e in quelle occasioni ci portava foto di Faith e ci raccontava di lei, della sua crescita e dei suoi progressi. Vista però l’età della bambina, non potevamo metterci in contatto diretto con lei ma, nonostante le migliaia di bambini e ragazzi che Padre John seguiva, sorprendentemente ad ogni domanda che gli ponevamo su Faith la sua risposta era sempre precisa e particolareggiata. Traspariva chiaramente che Faith fosse seguita e controllata e questo ci rincuorava molto.
Con il passare degli anni, assistiamo alla maturazione della nostra cara Faith: supera le scuole primarie e prosegue gli studi nelle scuole secondarie dalla durata di sette anni che le apriranno poi le porte verso l’università. Nonostante le difficoltà legate alla pubertà e al suo farsi “rotondetta”, secondo la sua costituzione, che l’hanno portata un po’ a perdersi con la scuola, Padre John è sempre vigile nella sua crescita e pronto a ridonarle il coraggio, soprattutto ricordandole che in Italia ha una famiglia che la supporta.
Sebbene ricevessimo foto in cui vedevamo una splendida ragazza, radiosa e con la sua maturità personale, non ce la facevamo più a vederla solo tramite foto e quindi chiediamo a Pietro Cruciani di inserirci nel primo viaggio in Uganda. Vogliamo vedere la nostra Faith e renderci conto del grande lavoro che Padre John sta facendo.
E così nel 2020 decidiamo di partire, tutta la famiglia insieme perché tutta la famiglia doveva abbracciare Faith. Malgrado il problema sanitario che progressivamente stava investendo tutto il modo, riusciamo ad arrivare in Uganda e passiamo i primi giorni ad ammirare le opere di Padre John e il suo meraviglioso paese. Noi alloggiamo a Mbarara, città di Padre John, ma Faith è in collegio a Kampala per cui ci separano sei ore di distanza. Continuiamo così a chiedere notizie di Faith fiduciosi di poterla incontrare.
Al terzo giorno, rientrando dai soliti giri di visita alle varie strutture costruite da Padre John, arriviamo al suo ufficio e, scendendo dal pulmino, vediamo Faith con la zia e la nonna che ci aspettano. Qui descrivere ciò che proviamo non è facile…è come se ci conoscessimo da sempre e che ci fossimo lasciati solo poche ore prima. Ci riconosciamo, ci abbracciamo e baciamo tutti in lacrime con una spontaneità che solo una famiglia può avere. Mi era stato detto di usare cautela nel primo incontro perché per loro la confidenza deve arrivare per gradi ma così non è stato e neanche la differenza di lingua ci ha ostacolato nell’essere una famiglia unita.
Faith sta con noi per tre giorni e tre notti, accompagnandoci nei vari giri. Impariamo a conoscerci meglio, anche se già ci conoscevamo. Non c’è timidezza tra di noi, si scherza e ci si stringe come che se avessimo vissuto sempre insieme. Qui mi rendo conto di quanto lavoro Padre John abbia fatto per far sentire a questi ragazzi che a 6000 km di distanza che c’è una famiglia che li ama e si prende cura di loro, nonostante loro vivano nel loro paese con le loro amicizie.
Nei vari giri che abbiamo fatto con Faith, siamo andati a cercare altri bambini adottati da famiglie italiane per fotografarli e avere notizie da condividere con le loro famiglie in Italia per mantenere vivo il contatto.
Faith ormai ha diciassette anni, è una ragazza consapevole e quindi decidiamo di scambiarci i numeri di telefono in modo da poter mantenere ancora più stretto il legame negli anni a venire. È ora di partire…non è facile ma siamo consapevoli che il legame che già ci univa è diventato indissolubile.
Negli anni seguenti ci scriviamo direttamente con lei e l’altra mia figlia Elena tramite i social networks ci mantiene aggiornati sui suoi progressi: Faith va all’università e sceglie diritto internazionale, nonostante Padre John non fosse molto d’accordo sulla scelta dell’indirizzo. Quando Padre John ne parla con noi, da buon padre che assiste alle scelte di un figlio ma non gliele impone, allarga le braccia e dice: “E’ ormai una donna, è giusto che faccia le sue scelte”.
Siamo a febbraio 2024 e torniamo in Uganda, pur sapendo che potremmo vedere Faith solo per poco tempo perché è impegnata con gli esami. Passiamo i primi giorni a visitare i prodigiosi passi avanti che Padre John ha fatto nelle scuole e nelle abitazioni per i ragazzi. Il nostro pensiero è però sempre rivolto alla nostra Faith.
Ecco che, dopo una notte di viaggio da Kampala a Mbarara, al mattino del penultimo giorno la vediamo arrivare. È un altro colpo al cuore, è meraviglioso poterla riabbracciare e vedere come è cresciuta e cambiata in questi anni. Sta con noi un giorno, non di più, ma la nostra unione è ormai indipendente dalle distanze. Sulla strada del ritorno all’aeroporto, passiamo anche da casa sua per abbracciare e ringraziare la nonna.
Forse c’è chi pensa che un’adozione a distanza sia distaccata, un aiuto a ciò che non è tangibile. Ebbene, dopo oltre diciassette anni, pensando alla nostra commozione quando ci vediamo, all’attaccamento che noi abbiamo per Faith e che Faith ha per noi, in particolare per Elena, posso affermare che Faith è nostra figlia, allo stesso modo di nostra figlia Elena.
Grazie Signore e grazie Padre John per questa opportunità che ci hai dato.
Col cuore Carlo, Elena e Marisa